Riflessioni

La casa in Piazza Savonarola

“Inoltre, poiché l’enorme distanza tra suo padre e sua madre si annullava di colpo quando si trattava di scegliere oggetti, l’essere cresciuto in quella casa (cioè l’essersi seduto fin dalla nascita su quelle sedie, addormentato su quelle poltrone e quei divani, l’aver mangiato su quei tavoli, studiato su quelle scrivanie, alla luce di quelle lampade, circondato da quelle librerie componibili eccetera) gli aveva trasmesso una certa arrogante sensazione di superiorità tipica di certe famigli borghesi degli anni sessanta e settanta; l’impressione di vivere se non nel migliore di mondi possibili perlomeno nel più bello -primato di cui la roba accumulata da suo padre e da sua madre era la prova. Per questo e non per nostalgia, anche quando si fu accorto di tutto ciò che non era mai andato nella sua famiglia, e perfino quando la sua famiglia, tecnicamente non esisteva più, Marco Carrera avrebbe sempre fatto tanta fatica  a separarsi dagli oggetti che l’avevano circondata: perchè erano belli, ancora belli, per sempre belli – e quella bellezza a era stata lo sputo che aveva tenuto insieme suo padre e sua madre. Dopo la loro morte si sarebbe ritrovato perfino a inventariarli quegli oggetti, uno per uno, nella dolorosa prospettiva di venderli insieme a tutta la casa di piazza Savonarola (suo fratello abbarbicato alla decisione di non rimettere mai più piede in Italia, avrebbe pronunciato  per telefono la parola “disfarsene”) col risultato invece opposto di incollarseli addosso per il resto dei suoi giorni. … ”

Tratto da:”Il colibrì”, Sandro Veronesi, La nave di Teseo 2019, pg.45, 46

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